Non ho ancora letto il relativo romanzo,
ma apprendo dalla recensione di Corrado Augias su “Repubblica” di lunedì
scorso che il commissario Montalbano, l’ormai leggendario personaggio
di Andrea Camilleri, è, come si dice dalle nostre parti, un po’ giù di
cartolina. Al di là delle prospettive professionali tutt’altro che
esaltanti, nel senso che l’idea di dover far applicare leggi del tipo
della Bossi-Fini deprimerebbe chiunque, la situazione politica generale
proprio non gli va giù, tant’è vero che sta seriamente pensando di cambiare
mestiere. Per noi lettori sarebbe una catastrofe, naturalmente, ma
il poveraccio ha lo stesso tutta la mia comprensione (e, suppongo, la vostra).
Se, in un paese normale, ci si dovrebbe sforzare di distinguere tra
le istituzioni e chi le gestisce, l’Italia, patria per eccellenza del
conflitto di interesse, proprio normale non è. Dalle nostre parte
sono decisamente in troppi a confondere il rispetto per la legge con l’ossequio
per chi comanda e se un povero commissario, dopo essersi barcamenato per
tutti questi anni, comincia a non poterne più di Berlusconi e dei suoi,
be’, posso dire soltanto che lo capisco.
Quello
che capisco un po’ meno, a essere sinceri, è l’atteggiamento in merito
del suo creatore. Nei confronti di Berlusconi, si sa, Camilleri non
ha mai nascosto una certa lodevole insofferenza, sul piano politico e/o
personale. Eppure… eppure la cosa non gli impedisce, né gli ha mai
impedito, di pubblicare i suoi libri presso una casa editrice per cui l’Uomo
di Arcore non è esattamente un estraneo. In effetti, se è vero che
la prima edizione dei romanzi di Montalbano esce di regola presso un editore
di Palermo, è altrettanto vero che le fortunate antologie di racconti e
una recente riedizione di gran lusso dell’opera omnia si fregiano inesorabilmente
del marchio Mondadori e tutti sappiamo a chi appartiene quel colosso dell’editoria
e chi lo dirige. E se una casa editrice di libri non vi sembra abbastanza
qualificata ideologicamente perché se ne traggano delle conclusioni sulla
coerenza dei suoi autori, be’, oggi vanno molto le sinergie e mi sembra
di ricordare, in effetti, che qualche titolo dello scrittore di Porto Empedocle
sia stato impiegato, tempo fa, anche per la promozione di “Panorama”,
una testata la cui impostazione politica dovrebbe far nascere negli antiberlusconiani
doc qualche ragionevole dubbio sull’opportunità di contribuire a promuoverla.
Certo,
bisogna aggiungere che Camilleri, promozioni a parte, è in ottima compagnia.
Per restare nel campo – a me più congeniale di altri – della
narrativa di genere, di autori ideologicamente di opposizione che subiscono,
per così dire, il fascino di Segrate se ne trovano davvero tanti. Non
farò dei nomi, per non correre il rischio di dimenticare nessuno, ma non
si può negare che i personaggi del nuovo noir “di sinistra” italiano,
si tratti di poliziotti che hanno somatizzato fino alle ultime conseguenze
il rifiuto delle gerarchie, di ex marescialli dei carabinieri dal volto
umano, o di transfughi più o meno schizzati del mondo della cultura antagonista,
hanno tutti una certa tendenza a militare comunque sotto le bandiere mondadoriane.
Anzi, se mettiamo nel conto anche l’Einaudi e la Frassinelli, che,
alla Mondadori, in buona sostanza, appartengono, e la Tropea, che vi è
strettamente legata anche sotto il profilo della distribuzione, potremmo
tranquillamente concludere che l’intero genere in lingua italiana geme
sotto un rigido monopolio, e che l’indipendenza ideologica dei suoi cultori,
quindi, deve fare i conti con quella che una volta si chiamava la struttura
economica (e se il termine vi sembra oscuro, chiamiamoli gli interessi
del padrone e ci capiremo senz’altro meglio).
Gli
scrittori cui mi riferisco obietterebbero, probabilmente, che non è colpa
loro se il sistema editoriale è quello che è. Potrebbero farmi notare
che, operando essi all’interno di un genere che si ascrive alla cultura
di massa, devono rivolgersi di necessità a un pubblico di lettori quanto
più possibile vasto, e non possono certo permettersi il lusso dell’editoria
alternativa o della produzione autogestita. Potrebbero sostenere
non senza ragione che, allo stato attuale dell’arte, il sistema è abbastanza
mediato e articolato da garantire a chi scrive l’immunità da troppe pressioni
indebite. E potrebbero osservare, infine, come nella stessa barca
si trovino dei personaggi le cui responsabilità ideologiche sono assai
più esplicite di quelle di qualsiasi scrittore di gialli o di altro. In
fondo, per i tipi del presidente onorario del Milano scrivono anche illustri
dirigenti della sinistra, a partire dal leader Massimo (nel senso di D’Alema),
e nessuno ha mai avuto niente da obiettare. Perché, dunque, prendersela
proprio con loro?
Avrebbero
ragione, probabilmente, anche se una cosa è il mondo della politica, che
vive istituzionalmente di compromessi e di scambi, a livelli non necessariamente
eccelsi, e un’altra quello delle narrativa, che è, o dovrebbe essere,
un mondo di libertà, in cui l’autore non dispone di altri poteri che quelli
che trae dalla sua capacità di scrivere e non può abdicare al diritto,
di scrivere, comunque, tutto quello che gli pare. Ma nessuno è tenuto
all’impossibile, scrivere senza essere letti non serve a niente e se per
raggiungere il pubblico dei lettori bisogna adattarsi a certi compromessi
di facciata, ci si può anche rassegnare a farlo. Spetterebbe ad altri,
in fondo, agire in modo che da certi intrecci il paese, presto o tardi,
si liberi. E la contraddizione, se mai, può essere considerata reciproca,
perché se un Camilleri, per tornare a lui, deve rassegnarsi a che il suo
personale successo giovi anche agli affari privati del Presidente del Consiglio,
anche Berlusconi deve rassegnarsi, per ora, al fatto che la sua casa editrice
pubblichi dei volumi in cui la sua persona e la sua politica sono additate
alla pubblica esecrazione.
Tutto
bene, dunque… se non che l’idea di leggere delle storie che parlano male
di Berlusconi sapendo che, stringi stringi, le pubblica lui, un po’ di
fastidio finisce comunque per darlo. Anche perché la contraddizione
sarebbe davvero reciproca se gli interessi di quel signore fossero di natura
esclusivamente politica o ideale. Ma visto che si dà abbastanza per
scontato, almeno tra di noi, che la politica, dal suo punto di vista, sia
subordinata alla finalità di acquisire il quattrino, non si vede bene che
cosa ci sia di contraddittorio, per lui, nel mettere sul mercato dei libri
che vendono bene e contribuiscono, in ogni caso, a impinguare le sue già
pingui sostanze. Sì, è vero, la contraddizione tra capitale e lavoro
è ineliminabile nei sistemi capitalistici, ma se vi facciamo rientrare
senza residui anche gli intellettuali, allora sì che ci troviamo nelle
canne fino agli occhi. Perché il capitale delle idee può anche fregarsene,
ma noi no.
09.03.’03