Suppongo che non ne possiate più neanche voi, a cinque giorni dalla elezione
presidenziale, di sentir esprimere dalla gente più strana l’auspicio,
la speranza o la certezza – dipende – che il senatore Napolitano
si dimostri per i sette anni a venire “il presidente di tutti gli italiani”.
È un’espressione, ne converrete, di cui si è fatto un abuso intollerabile,
tanto più fastidioso perché, a rigore di termini, quelle parole rappresentano
non solo una scortesia (visto che insinuano inutilmente il dubbio che le
cose possano andare in altro modo), ma anche un pleonasmo. Che l’ottimo
Giorgio sia, fin da ora, il presidente di tutti noi lo garantisce il fatto
stesso che all’alta carica sia stato eletto secondo le norme che la Costituzione
detta e prevede, il che gli dà automaticamente il diritto (e il dovere)
di presiederci, con i modi e nei limiti che in quel testo sono definiti.
Quella espressione, da un punto di vista strettamente linguistico,
è un semplice genitivo soggettivo, vuol dire che lui presiede e tutti gli
altri sono presieduti, e chiunque si provasse a metterlo in dubbio si porrebbe
automaticamente al di fuori, oltre che dalla comunità nazionale, dalle
convenzioni sintattiche correnti, con grave pregiudizio delle sue possibilità
di farsi intendere.
Ciò premesso, spero converrete anche sul fatto che
l’espressione non è reversibile. Come a dire che non è vero che
tutti ci si debba riconoscere senza residui nell’augusta figura. Del
Presidente Napolitano riconosciamo la funzione, siamo certi dello scrupolo
con cui saprà esercitarla, ci rallegra (se ci rallegra) il fatto che il
suo avvento segni la fine di anacronistiche discriminazioni ideologiche,
ma ciò non ci obbliga a farne né il nostro eroe né il prototipo delle virtù
civiche di cui il paese abbisogna. Del resto, una delle qualità
apprezzabili di questo anziano e cortese signore, che ha svolto con diligenza
e profitto un’onorata carriera di burocrate di partito ed è riuscito a
passare senza traumi visibili dallo stalinismo al migliorismo, secondo
uno schema evolutivo tipico del modello termidoriano che caratterizza la
nostra sinistra, sembra essere proprio la non eroicità, una certa evidente
refrattarietà alla beatificazione.
Il guaio è che quella di beatificare il Presidente,
per un motivo o per l’altro, è una delle attività più care al paese. E
si capisce anche, visto che non sempre gli ospiti del Quirinale si sono
mostrati all’altezza dell’incarico, per cui basta che uno non convochi
i comandi dei carabinieri a ogni crisi di governo, non si faccia coinvolgere
in oscure trame sotterranee, non faccia le corna in pubblico, non si metta
a cantare canzonette ai vertici internazionali e non susciti sospetti di
nepotismo, perché lo si assuma, come direbbe il poeta, al concilio dei
numi indigeti. Diffidando dai politici di governo e nutrendo scarso
interesse per quelli di opposizione, l’opinione pubblica ha sviluppato
con gli anni un acuto bisogno di un padre della patria super partes in
cui confidare, da mettere sugli altari e, possibilmente, da portare in
processione per fargli benedire i bambini. E va detto che non si
è mostrata schizzinosa in materia: ha perdonato a Pertini la sua stizzosità
e il suo narcisismo e a Ciampi la passione per l’Inno di Mameli, esaltandone
le capacità di mediazione e moral suasion in misura tale che anche lui
ne deve aver provato, sotto sotto, imbarazzo. Persino una figura
vagamente inquietante come quella di Cossiga, che negli ultimi anni del
suo mandato ne ha fatte e dette veramente di ogni, è stata riabilitata
ex post e il tipo oggi è considerato un personaggio autorevole, il cui
parere vale la pena di richiedere e ascoltare con reverenza.
Chissà se Napolitano avrà lo stesso destino.
Il fatto che la sua elezione, oltre che da una serie di ricostruzioni
giornalistiche ai limiti dell’adulazione, sia stata segnata da fenomeni
quali le interviste ai vicini di casa e la trasmissione in diretta delle
opinioni del suo macellaio di fiducia non fa esattamente sperare. Ed
è un peccato, perché di padri della patria ne abbiamo avuti parecchi e
più che qualche occasionale discorso consolatorio non ne abbiamo ricavato,
mentre una figura un po’ più distante, meno coinvolta nel rapporto mediatico
con le masse adoranti, capace di fare il suo lavoro con discrezione e pazienza
se non sono contenti tutti potrebbe riservarci qualche interessante sorpresa.
Staremo a vedere.
14.05.’06