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La caccia
| Trasmessa il: 10/30/2011
Excelsior
Non si è ancora spenta tra i milanesi più attenti all'immagine della metropoli la polemica su quale sia l'edificio più alto della nostra bella (?) città, se il Palazzo Lombardia, nuova sede della regione, con i suoi 161 metri e 30 centimetri, o la Torre Garibaldi di Cesar Pelli, che con la guglia installata in loco due domeniche fa tocca i 230. È un problema non privo di un suo bruciante interesse e non lo si può risolvere osservando, come avrei fatto io, che 230 metri sono sempre più di 161,3. Non si può, almeno finché non si decide esattamente cosa contare. Di fatto, ai committenti della Torre Garibaldi, che vantavano, una volta sistemata l'antenna in questione, la primazia in altezza del loro grattacielo, la Regione Lombardia, come si è letto, ha subito ribattuto, con apposito comunicato stampa, che il primato restava suo, perché la sede del governo regionale è alta dieci metri di più “dello spazio abitabile e calpestabile della torre di Cesar Pelli”. Ed è sull'altitudine di tale spazio calpestabile, hanno sottolineato gli uomini della regione, che va definita l'altezza di un edificio: guglie, antenne, parafulmini, alberi della cuccagna e simili artificiosi prolungamenti non possono essere presi in considerazione.
Non saprei cosa hanno risposto i portavoce di Porta Nuova. La polemica, in realtà, è sembrata subito piuttosto futile e il fatto che a innescarla sia stato un comunicato di Roberto Formigoni (che non lo ha emesso a nome proprio, ma lo ha sicuramente ispirato al suo ufficio stampa) non fa che confermare i dubbi di chi ritiene che quattro mandati di fila come governatore siano decisamente troppi per chiunque. Nei problemi di criteriologia, poi, hanno ragione un po' tutti: dipende, appunto, dal criterio che si assume. È ovvio che per decidere quale sia la lunghezza (o l'altezza) di qualcosa bisogna stabilire prima da dove cominciare a misurare e fin dove procedere e che in caso di edifici nulla vieta di decidere di farlo fino all'ultimo spazio “abitabile e calpestabile” e morta lì: i fautori dell'opposto criterio dell'altezza totale del manufatto, al massimo, potrebbero ribattere che la logica degli avversari non si adatta a tutte le costruzioni, in quanto inapplicabile a guglie, campanili, cupole, piramidi e affini, e che chi sceglie un criterio limitativo, potrà vantarsi, al massimo, di una superiorità limitata, ma non potranno contestare una scelta che, in quanto essenzialmente arbitraria, è senza dubbio incontestabile.
Entrambe le fazioni hanno prodotto alcuni precedenti a favore della propria tesi. I formigoniani hanno osservato che il Guinness dei primati avvalora il loro punto di vista, mentre i portanuovisti hanno ribattuto che “gli americani giocano da un secolo con le antenne per realizzare il grattacielo più alto, dall'Empire al Chrysler Building”. Entrambi gli argomenti non hanno un particolare valore teoretico, per cui la questione, allo stato, sembra destinata a restare impregiudicata. D'altronde i due edifici sorgono praticamente a uno sputo l'uno dall'altro, chiunque può confrontarli a suo bell'agio, magari per concludere che sono entrambi assai bruttarelli e l'unica reazione che suscitano nell'osservatore disinteressato è quella di chiedersi che bisogno ci sia mai di costruire dei grattacieli in una città di pianura priva di limitazioni naturali, in cui la spinta verso l'alto non è, tutto sommato, giustificata da alcun motivo.
Certo, alla febbre del record è difficile resistere. Formigoni, per dirne uno, di record può già vantarne parecchi: è in prima fila nella graduatoria dei politici di lungo corso, è il governatore di Regione che ha ricoperto più mandati in assoluto e, quanto a grattacieli, l'unico amministratore al mondo – per quanto ne so – che per i suoi uffici possa vantarne addirittura due, uno dei quali dotato di eliporto di 26 metri di diametro e portanza di 6,4 tonnellate, capace di ospitare velivoli in grado di trasportare fino a quindici passeggeri, un servizio di cui nessun presidente di regione degno di questo nome può evidentemente fare a meno e per il quale tutti i colleghi sicuramente lo invidieranno di brutto. Di ciò si potrebbe accontentare, invece di rendersi vagamente ridicolo mettendosi a sdottorare di superfici calpestabili a 161 metri di altezza.
A meno, naturalmente, che non decidiamo di cambiare, per così dire, il punto di vista, facendo fare a entrambi i grattacieli una ideale rotazione di novanta gradi e cambiando l'aggettivo che ne definisce l'estensione da “alto” in “lungo”. Tutto si chiarirebbe immediatamente, perché il problema di chi ce l'ha più lungo ha sempre tormentato i giovani maschi e, tra i meno giovani, quelli che hanno avuto una più diuturna esperienza di organizzazioni clericali. Ma mi rendo conto che è un'ipotesi irriverente e sono il primo a vergognarmi di averla formulata.
30.10.'11
Carlo Oliva
Carlo Oliva
, milanese, nato nel 1943, è sostanzialmente un eclettico.
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