“Se c’è una cosa che mi fa tanto male è l’acqua minerale”
cantava, tanti anni fa, Fred Buscaglione ,specificando che “meravigliosa
sarà, ma per piacere, io non la posso bere” e aggiungendo che per
stare bene lui beveva alla mattina la nitroglicerina. Ma che, soprattutto,
preferiva il whisky. Aveva, stando a quella canzone, il “whisky
facile” e ne beveva, o diceva di berne, in quantità industriali, anche
se la dolce sfumatura piemontese che emergeva dalla sua parlata faceva
pensare che l’uomo non fosse alieno, nel caso, al barbera. Ma il
whisky, in quello scorcio di anni ’50, faceva ancora la sua impressione:
non era più, forse, appannaggio esclusivo dei personaggi dei romanzi americani
o – al massimo – di uno strato sofisticato e un po’ spinto di gente
su, ma non si trovava certo a disposizione di tutti in qualsiasi supermercato,
anche perché di supermercati, per il momento, non ce n’erano ancora. Quella
bevanda, per una borghesia in ascesa che cominciava a fatica a disintossicarsi
dal doppio kümmel, incarnava soprattutto una promessa di modernità, condita
– se mai – con un pizzico di anticonformismo: niente di speciale, certo,
ma quanto bastava al povero Fred per dar vita, sull’onda dei facili versi
di Leo Chiosso, a un personaggio che sarebbe sopravvissuto a lungo alla
prematura interruzione della sua carriera mortale.
Il secondo termine
del dilemma, d’altronde, poteva vantare anch’esso qualche titolo di nobiltà.
Anche l’acqua minerale, come ricorderanno gli ascoltatori più anziani,
non era cosa da tutti. A parte gli usi decisamente medicinali di
qualche sottospecie, come la celebre Fiuggi, era, a modo suo, un prodotto
di lusso. Chi la consumava, al ristorante, o, più di rado, in casa
sua, affermava automaticamente la pretesa a una superiore raffinatezza
di gusti, a una qualche forma di distinzione sociale. Ne era prova
il fatto che, come per tutti i prodotti di lusso, se ne vendevano dei surrogati.
Visto che la caratteristica più evidente di quell’articolo erano,
tutto sommato, le bollicine, perché all’acqua “minerale naturale”, Fiuggi
a parte, non aveva ancora pensato nessuno, gli indigenti o i parsimoniosi
potevano sempre ricorrere a certe misteriose bustine il cui contenuto
era in grado di rendere miracolosamente frizzante qualsiasi volgare bottiglia
di acqua da rubinetto. Credo che ci sia gente che, a differenza di
Fred Buscaglione, ha costruito su questo commercio ingenti fortune.
È passato quasi mezzo
secolo, e il crescere dei consumi congiunti di whisky e acqua minerale
ha segnato, in un certo senso, l’evolversi dell’economia nazionale e
del nostro costume civile. E se a un certo punto la diffusione del
celebre distillato scozzese si è fermata (ma credo che in Italia se ne
beva, comunque, di più che in tutta la Gran Bretagna), quella dell’acqua
minerale non aveva mai subito, fino a due settimane fa, battute di arresto.
Quel liquido, affrancato dalla schiavitù della ingombrante bottiglia
di vetro, nei suoi pratici contenitori di plastica di un litro e mezzo
e di mezzo litro, venduti più spesso in pacchi da sei che in esemplari
singoli, è diventato una componente essenziale (e, tra parentesi, piuttosto
ingombrante) della nostra spesa.
Strano, però. È vero che il progresso economico
si misura, tra l’altro, sulla diffusione del superfluo, ma, fra tutti
i prodotti superflui che offre spensieratamente la società dei consumi,
pochi sono altrettanto superflui dell’acqua minerale. Il whisky,
naturalmente, è una droga e fa malissimo al fegato e a una quantità di
altri organi fondamentali, ma, appunto per questo, a qualcosa serve, almeno
dal punto di vista dei suoi incauti consumatori. L’acqua minerale,
invece, non serve assolutamente a nulla, nel senso che non ha funzioni,
alimentari o di altro tipo, cui non possa adempire, di norma, il fluido
diffuso dagli acquedotti comunali. Proprio in questi giorni, esperti
di tutte le risme ci assicurano che non è migliore dal punto di vista organolettico
né più sicura da quello igienico. Che non contiene sostanze benefiche
né è priva, rispetto all’acqua potabile altrimenti distribuita, di particolari
componenti nocive. Tutta l’acqua, in fondo, è minerale, e l’unica
caratteristica che distingue la varietà venduta in bottiglia, stringi stringi,
è quella di essere, appunto, venduta in bottiglia, il che vuol dire che
nell’attuale situazione di mercato costa parecchio di più. Il suo
successo commerciale, insomma, è un caso clamoroso di sovrapposizione del
valore di scambio sul valore d’uso. Come a dire che la si compera
proprio perché costa e di un prodotto che costa meno o, apparentemente,
non costa nulla, come l’acqua dell’acquedotto (che ha il suo prezzo,
certo, ma si paga con altre modalità) non ci fideremmo.
È una situazione di cui non è il caso di stupirsi. Ci
siamo cascati tutti, a partire da me che vi parlo. Si tratta di un
trend normale nelle società del nostro tipo, specie in un momento storico
in cui la crisi dell’idea di gratuito sembra irreversibile e la mercificazione
totale di tutti i beni è la norma. Non per niente esistono strutture
internazionali e multinazionali che pretendono di imporre un prezzo (e
riscuoterlo) anche all’acqua disponibile in natura, quella dei fiumi e
delle sorgenti, una ricchezza pubblica che in troppi sono ansiosi, oggi,
di privatizzare. E se c’è chi, specie nel Terzo Mondo, cerca di
opporsi a quei tentativi e chiede solidarietà sulla sua lotta, è evidente
che la disparità delle forze in campo, nella generale indifferenza, non
è incoraggiante.
Forse, tutto sommato, aveva ragione Fred Buscaglione.
Tra le molte cose che ci fanno male, oggi, c’è anche l’acqua minerale,
in rappresentanza – se non altro – di tutti gli articoli superflui e
inutili che la tirannia del mercato ci impone, e gli ignoti iniettatori
di sostanze nocive che hanno suscitato, in questi giorni, tanto allarme
non hanno fatto che rendere evidente un problema cui, finora, davamo tutti
ben poco peso. Poi, naturalmente, ciascuno può bere quello che preferisce,
capovolgendo la bottiglia per vedere se ne fuoriescono gocce sospette o
scuotendola a lungo per verificare che la limpidezza del contenuto resti
pervicacemente tale. Non voglio consigliarvi, vi assicuro,
di passare in massa al whisky scozzese o ad altre bevande più o meno nocive.
Credo anch’io che ottima cosa sia l’acqua, come ricordava
il vecchio Pindaro nel fulminante attacco della prima ode olimpica. Ma
lui, certo, non la doveva pagare.
21.12.’03