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Le capsule molli
La caccia
| Trasmessa il: 06/10/2012
Le capsule molli
Avete mai visto in televisione la pubblicità delle capsule molli contro il mal di testa? È, per più versi, davvero straordinaria e mi permetterò, per chi non l'abbia notata, di darne un breve riassunto.
Dunque, c'è una bella ragazza, sui sedici diciotto anni, che si chiama Molly. Il nome, scritto presumibilmente con la “y”, non è comune in Italia, ma in inglese è un diminutivo di Mary abbastanza diffuso. È particolarmente popolare in Irlanda e nulla vieta che qualche fanciullina di famiglia esterofila lo porti anche nel nostro paese. Forse i genitori hanno letto l'Ulisse di Joyce, in cui ha gran parte un personaggio che così appunto si chiama, e ne sono stati colpiti.
Comunque questa Molly ha il mal di testa. Per fortuna ha anche un partner, uno più o meno della stessa età, ma si capisce che la sa lunga. “No problem, Molly” le dice, in inglese e poi, passando all'italiano le spiega che basta ricorrere alle capsule molli, sottolineando opportunamente con il tono di voce la coincidenza tra l'aggettivo e il nome dell'amata. Non spiega di che capsule si tratti, nel senso che non specifica né il nome del farmaco, né la marca della casa che lo produce: dice soltanto che sono molli. L'indicazione sembra un po' vaga, anche perché la caratteristica non è in alcun modo esclusiva: si riferisce a una tipologia di medicinale abbastanza comune, in cui le capsule hanno quella consistenza perché contengono abbastanza acqua da consentirne un più rapido assorbimento. Di capsule molli, in effetti, sul mercato ne esisteranno chissà quante, per combattere i mali più diversi, dall'ingrossamento della prostata ai sintomi di raffreddore. Ma la ragazza, presumibilmente, individua e assume il prodotto giusto. Infatti nello stacco successivo la si vede allegrissima, sul sedile posteriore dello scooter del suo bello, evidentemente senza un filo di mal di testa. Passano rombando di fronte a una farmacia, che sfoggia in vetrina il manifesto delle capsule molli in questione, specificando, finalmente, nome e marca del prodotto. “Guarda” dice lei: “capsule molli” e ride tutta contenta sotto il casco regolamentare. Poi il guidatore dà il gas e i due se ne vanno verso il loro destino.
Tutto qui e non vi sarà sfuggito che come spot è particolarmente insensato. Assicura che il prodotto cui si riferisce funziona perfettamente e va bene, i messaggi pubblicitari sono fatti per questo, ma quando si tratta di articolare la comunicazione, di darle una sia pur minima struttura argomentativa che permetta al fruitore di collegarla a quello specifico articolo, ci rinuncia senza combattere e si rifugia in una coincidenza verbale (a voler essere precisi una omofonia) che in sé non vuol dire assolutamente niente. Certo, è raro che la logica di questo tipo di messaggi sia davvero stringente e che gli argomenti cui ricorrono convincano senza residui, ma almeno di solito ci provano, a costo di sostenere – per dire – che il tal caffè sia così buono che San Pietro in Paradiso non ne beve altro o che la tal automobile possa passare dal cielo al mare alla terra mantenendo le sue caratteristiche di eccellenza. Possono a tal fine ricorrere a giochi di parole, a lusinghe sessuali, a battute di spirito, ad allusioni subliminali o a qualsiasi altro para-argomento del genere, ma hanno sempre un fondamento più solido che non la coincidenza fonica tra il nome dell'acquirente e la categoria merceologica del prodotto. Anche questo è possibile, certo, ma sarebbe come se qualcuno volesse usare il mio cognome per la pubblicità delle olive in salamoia nel convincimento che uno slogan del tipo “Prendi un'oliva, Oliva” o “Oliva mangia le olive” possa allettare i consumatori. In realtà, quello spot (quello delle capsule, dico) non usa nessun argomento, ma si limita ad affermare il proprio messaggio con una logica perfettamente autoreferenziale e il giochino tra “Molly” e “molli” serve soltanto per conferirgli la struttura narrativa necessaria per tirare il minuto o due di durata richiesti.
Tutto questo, naturalmente, è meno assurdo di quanto possa sembrare. Di messaggi non argomentati, oggi come oggi, ce ne piovono addosso parecchi, anche se in forma forse meno esplicita. Il dibattito politico, per fare un esempio, ha perso da tempo qualsiasi contenuto argomentativo e si riduce alla presentazione ribattuta di asserzioni non verificabili. Se una volta le proposte dei vari partiti si fondavano su qualche forma di valorificazione implicita o esplicita, quella, per esempio, per cui l'insegnamento della Chiesa andava considerato più affidabile di quello di Stalin o che gli interessi dei lavoratori andassero privilegiati rispetto a quelli del padronato (due istanze, in sé, paragonabili per valore retorico al caffè di San Pietro), oggi simili aut aut sono considerati roba da politologi esperti, con cui è inutile affaticare inutilmente il cervello dei cittadini. Il problema di Berlusconi, così, sarà puramente di nome e di immagine, di come denominare e rappresentare di fronte all'elettorato la sua consueta merce – e al momento si capisce che non ha nemmeno deciso come chiamare il partito – mentre quello dei suoi avversari avrò a che fare con la necessità di distinguersi da lui senza precisare in che cosa, come a dire di presentarsi senza proporre, visto che ogni proposta finora si è rivelata un disastro. Così ci si rimpalleranno i vari modelli di sistema elettorale (francese, tedesco, spagnolo o che altro) senza prendersi la briga di spiegare le differenze tra l'uno e l'altro e i vantaggi e gli svantaggi che l'uno e l'altro comporta, con l'indubbio vantaggio di poter cambiare proposta in corso d'opera, come si è visto con l'improvvisa conversione al due turni del PdL (o dell'ex PdL, non so bene), ma con la conseguenza di spegnere negli elettori qualsiasi interesse per l'argomento. Insomma, se il dibattito pubblico ha eliminato qualsiasi dialettica argomentativa, perché non dovrebbe farlo la pubblicità?
C'è un altro elemento di cui tener conto. Una dialettica, in ogni caso, richiederebbe una contrapposizione di punti di vista, che è appunto quello che oggi disperatamente ci manca. Nessuna delle due parti, per esempio, ha una ricetta da proporre per la crisi finanziaria ed economica, dato che entrambi non sanno far altro che auspicare che la Germania – solo gli dei sanno perché – si decida ad aprire i cordoni della borsa e cosa fare nell'attesa non lo sa bene nessuno, mentre quando si tratta di interessi concreti (di questioni, cioè, di nomine, spartizioni, finanziamenti e simili) entrambi hanno il problema di agire in accordo tra loro ma senza dirlo, una esigenza che non si può certo rendere pubblica o sottoporre al vaglio della cittadinanza. È per questo che si sono ridotti l'uno a dire “Votate per me perché io sono io” e l'altro a ribattere “Votate per me perché io non sono lui”. Da questa perversa specularità non ci è proprio possibile evadere.
Di fronte a questo genere di dibattito, naturalmente, le capsule molli di Molly sono un esempio di alta retorica argomentativa. E se lei ci assicura felice che il mal di testa le è definitivamente passato, perché mai non dovremmo crederle?
Carlo Oliva
Carlo Oliva
, milanese, nato nel 1943, è sostanzialmente un eclettico.
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