Un fantasma si aggira per il paese: preoccupa i governanti, affascina i
giornalisti, suscita l’alto interesse del Capo dello Stato, galvanizza
i leader politici, si insinua nelle private conversazioni dei cittadini.
È una presenza invasiva, che incombe sempre di più su di noi e se,
come capita a tutti i fantasmi, non è facilissimo definirla in termini
soddisfacenti, tanto da un punto di vista epistemologico quanto da quello
operativo, riesce comunque a improntare di sé quel poco di dibattito politico
che ci rimane. Si tratta, come avrete tutti compreso, del Fantasma
del Semestre Italiano, il lasso di tempo, ormai imminente, in cui toccherà
al nostro paese, nella persona del suo Presidente del Consiglio, dirigere
e governare l’Unione Europea. E siccome la figura del Presidente
in questione è al centro, come saprete, di qualche rozza polemica, molti,
a partire da lui, temono che a una funzione tanto importante possa venire,
da questi nostri dissidi intestini, qualche sensibile detrimento. Onde
gli inviti, da una parte e dall’altra, a tacere per il bene della patria.
Berlusconi ha spesso espresso il desiderio che i suoi avversari politici
smettano di criticarlo, se no cosa penserebbero di lui in Europa, e i suoi
avversari non si stancano dal ribattergli che meglio farebbe lui a non
coprirsi di ridicolo di fronte all’Europa e al mondo a ogni intervento.
È strano, tuttavia. L’Unione Europea,
in forma dapprima di Mercato Comune e poi di Comunità Economica, esiste
dal 1957 (fu istituita, appunto in quell’anno, dal Trattato di Roma),
l’istituto della presidenza semestrale è in vigore, per quel che mi risulta,
da quando ne furono unificati gli esecutivi, il 1° luglio di dieci anni
dopo, e alzi la mano chi aveva capito, in questi trentasei anni, che avesse
tanta importanza. In trentasei anni l’Italia avrà ricoperto il ruolo
presidenziale almeno una mezza dozzina di volte (probabilmente di più)
e non mi ricordo che, in nessuna di quelle occasioni, si sia mai fatta
tanta cagnara.
C’è un motivo, naturalmente. Nel complesso
equilibrio delle istituzioni europee, la presidenza (che, fra parentesi,
non spetta al capo del governo, ma al paese di turno, e si esercita concretamente
al livello, a seconda dei casi, di ministri degli esteri o di ambasciatori)
ha, più o meno, il ruolo del due di briscola. È una funzione, tutto
sommato, diplomatica e cerimoniale, che si attribuisce a rotazione in stretto
ordine alfabetico e si esaurisce nel fatto che di sei mesi in sei mesi,
tocca al rappresentante di un paese diverso presiedere, appunto, le varie
riunioni. Tutto qui. Anzi, l’istituto si è rivelato così inefficiente,
ai fini di assicurare all’Unione una guida politica qualsivoglia, che
uno dei principali problemi della Convenzione attualmente al lavoro (quella
diretta da Giscard D’Estaing) è quello di abolirlo, sostituendolo, se
possibile, con qualcosa d’altro.
Insomma, l’Uomo di Arcore potrà anche dolersi di leggere sul “Financial
Times” o altrove, che lo si considera unfit to rule Europe, “inadatto
a governare l’Europa”, ma sul piano concreto può stare tranquillo. Nessuno
gli chiede di governare alcunché. Non sarà lui a guidare le sorti
del continente, non più di quanto lo stia facendo in questi primi sei mesi
del 2003 il primo ministro greco o lo farà, dal gennaio al giugno del 2004
il granduca del Lussemburgo, o chi per lui. Per sua – e nostra –
disgrazia, lui deve (o dovrebbe) governare soltanto l’Italia e ce n’è
già di avanzo.
Questo non gli impedisce, naturalmente, di metterla giù bella dura. L’occasione
è puramente simbolica e mediatica, ma è appunto di simboli e media che
l’individuo vive. La presidenza europea non sarà forse un’occasione
per il nostro paese di contare di più nell’Unione, ma per il suo premier,
come si fa chiamare, sarà certamente il momento di esibirsi su un palcoscenico
più ampio del solito. Lui si aspetta, in sostanza, di avere un pubblico
più ampio cui raccontare le sue barzellette, più colleghi cui fare le corna
e confidare le sue preferenze musicali, più giornalisti con cui lamentarsi
della fatica che fa e della persecuzione cui è sottoposto. Gliene
verrà (anzi, ce ne verrà) il massimo discredito possibile, perché le sue
barzellette fanno venire il latte alle ginocchia, farsi fare le corna dietro
alla schiena non piace a nessuno, le sue preferenze musicali sono notoriamente
rasoterra e alla fatica che fa, per non dire delle persecuzioni che subisce,
è proprio difficile credere, ma pazienza. È un teatrino cui ormai
siamo avvezzi e non si vede come poterglielo negare. Su ben altro
che sul comportamento in pubblico del capo del governo dovrebbe basarsi
il prestigio di un paese.
Non si vede neanche, peraltro, perché dovremmo prenderlo sul serio. Perché
dovremmo, in nome di questa fantomatica occasione, “abbassare i toni”
e stringerci in un afflato bipartisan, come l’ottimo Ciampi non si stanca
di chiedere. E non solo perché, quando si ha a che fare con certi
personaggi, i toni è meglio abbassarli il meno possibile. Ma perché
quello del semestre europeo è l’ultimo mito con il quale i nostri politici,
nella loro indomita vocazione a confondere i ruoli rispettivi della maggioranza
e della opposizione, sono riusciti a complicare i termini di un dibattito
in sé piuttosto semplice. E se a Berlusconi, che, alla fin fine,
con ogni probabilità dovrà vedersela con il buon Prodi, che in Europa un
certo ruolo concreto ce l’ha, non potrà che giovare far credere di aver
avuto qualche esperienza di governo europeo, il compito dell’opposizione
dovrebbe essere quello di demistificare, oggi e domani, qualsiasi pretesa
in merito. Ma è appunto il problema dei compiti dell’opposizione
che la politica italiana non è mai riuscita a risolvere.
18.05.’03