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La Caccia
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Gialloliva
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Sobrietà
La caccia
| Trasmessa il: 06/03/2012
Sobrietà
Sarà vero che la maggior parte delle spese previste per la parata militare del 2 giugno a Roma erano già state stanziate e impegnate, per cui ben poco si sarebbe risparmiato rinunciando alla cerimonia, come molti avevano chiesto in segno di cordoglio per le vittime del terremoto in Emilia. L'argomento, tuttavia, non tiene conto del fatto che tra “ben poco” e “niente” esiste comunque una differenza precisa, e sicuramente sarebbe stato possibile trovare un uso più razionale per i due o tre milioni che si sono spesi. E poi la richiesta di sospensione non era dettata esclusivamente dal desiderio di fare economia in un momento difficile: sembrava a molti che fosse sommamente inopportuna una esibizione marziale in un momento in cui di ben altre risorse il paese aveva evidentemente bisogno. È da decenni, del resto, che ogni 2 giugno si dibatte sull'opportunità di celebrare una ricorrenza civile come la ricorrenza della proclamazione della Repubblica con una sfilata militare e quello del lutto per il terremoto non era che un capitolo in più di questa annosa diatriba.
Non vorrei tornare ancora una volta sull'argomento. Ce ne siamo occupati, in questa sede e altrove, fin troppo spesso. Ma certo ci vuole una bella dose di risolutezza – diciamo così per non offendere nessuno – per pretendere che il paese si riconosca nel proprio esercito come elemento di identità e unità nazionale, perché questa, stringi, stringi, è la motivazione con cui delle pur eccellenti persone, come i Ciampi e i Napolitano, hanno sempre sponsorizzato la sfilata lungo i Fori Imperiali. L'esercito italiano, nella sua storia, ha scritto parecchie nobili pagine ed è ormai solidamente inserito nella struttura democratica del paese, ma non è mai stato propriamente un'armata di popolo, come testimoniano, nonostante tutto, i ricordi della guerra al “brigantaggio”, che tutti sanno che cosa voleva dire, dei cannoni di Bava Beccaris, delle decimazioni del generale Cadorna e del “Tutti a casa!” dell'8 settembre. Quanto all'impiego attuale dei nostri reparti nelle varie “missioni di pace” cui prendono parte, si sa che l'opinione pubblica e le forze politiche sono tutt'altro che unanimi nel giudizio da esprimere. Insomma, qualche problemino c'è sempre e non lo si risolve facendo sfilare anche le rappresentanze delle formazioni partigiane e della protezione civile.
La sfilata comunque c'è stata, sia pure in forma “sobria”, perché è di questo aggettivo che si sono servite le autorità competenti per sanare la contraddizione tra il loro desiderio di far sfilare comunque le truppe e la necessità di esprimere un qualche rincrescimento per quanto successo tra gli Appennini e il Panaro. Si potrebbe discutere a lungo sul significato da dare all'espressione, se basti tagliare gli stanziamenti del venti per cento, fare a meno dei mezzi corazzati e dei reparti a cavallo e lasciare negli hangar le Frecce Tricolori, per conferire un tono di “sobrietà” a un evento comunque chiaramente superfluo e se questo significhi che negli anni scorsi prevalesse invece un clima di dilapidazione e di scialo. Si potrebbe argomentare che se “sobrio” va inteso, come pare, nel senso di “senza inutili ostentazioni”, allora non può assolutamente applicarsi a una parata, che è senza dubbio una ostentazione e sulla cui inutilità, speriamo, non si dovrebbero o potrebbero avere dubbi. Una parata sobria, in effetti, è un ossimoro, una contraddizione di termini, come il ghiaccio bollente e la dotta ignoranza. Non può esserci sobrietà in una inutile e vana esibizione di armi e strumenti di guerra, tanto più vana se vista alla luce di quell'articolo della Costituzione in cui la Repubblica alla guerra, appunto, rinuncia.
Ma tant'è. L'esercito non farà mai a meno delle parate, che rappresentano, in una struttura per altri versi ossessionata dal mito della riservatezza, il momento della ostentazione della forza, della giustificazione pubblica della propria ragion d'essere. Il ceto politico non farà mai a meno dell'esercito, cui delega da sempre l'incarico di rappresentare quell'unità e quella solidarietà nazionale che i suoi membri sono ormai notoriamente incapaci di esprimere. Questo bizzarro concetto di “parata sobria”, nella sua patente contraddittorietà, rappresenta il massimo dei compromessi cui i nostri governanti siano stati capaci di giungere: prendiamolo per quel che è, consapevoli che di altro, con tutta la loro prosopopea, non sono capaci e che se dal loro versante la società civile si attende aiuto e sostegno, dovrà aspettarlo per un bel pezzo.
Carlo Oliva
Carlo Oliva
, milanese, nato nel 1943, è sostanzialmente un eclettico.
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