L’altro ieri il sindaco di Milano non era sui giornali
soltanto con la proposta di far costruire in città non uno, non due, ma
ben tre grattacieli, uno alla Fiera, uno alle Varesine (che lui chiama,
chissà perché, “Città della Moda”) e un altro, con pianta a stella,
al posto di San Vittore, un’eccellente idea per attirare altro traffico
in quei quartieri ingolfati e moltiplicare il numero degli ascensori in
cui i cittadini possano farsi intrappolare al prossimo blackout.
C’era anche con una lettera nel dorso cittadino del “Corriere”, in cui,
in risposta a un intervento critico, ricordava i “fatti concreti” realizzati
dalla giunta. Lui è fatto così: se lo si accusa, come aveva fatto
su quelle pagine Antonio Panzieri, di non essere in grado di “proporre
dei sogni” – di non saper indicare, cioè, una prospettiva coraggiosa
di sviluppo a una città che sembra avere smarrito la propria ragion d’essere
storica – sente il bisogno di precisare il numero dei chilometri di rotaie
che la sua amministrazione ha fatto posare. Per lui contano i “fatti
concreti”: per i sogni, aggiunge con compiacimento, non è attrezzato.
E anche se non resiste alla tentazione di vantarsi di progetti su
cui il consenso è tutt’altro che unanime, tipo la “ristrutturazione”
della Scala, o di inserire tra i fatti concreti degli eventi assolutamente
di là da venire, come il completamento del passante ferroviario, le nuove
linee della metropolitana e la “grandiosa metamorfosi urbanistica” delle
aree Garibaldi-Repubblica e della vecchia Fiera, non si può fare a meno
di provare per il Narciso di Palazzo Marino una qualche tiepida ammirazione.
Basta guardarsi in giro per rendersi conto di quanto sia ostile
ai suoi abitanti una città incapace di superare senza andare in blocco
un giorno di pioggia o uno sciopero dei tranvieri, una città da cui si
scappa perché non ci si può permettere più di affittare una casa, in cui
il luccichio delle vetrine è sempre più falso e standardizzato, la cultura
è diventata un optional di cui si può benissimo fare a meno e il
numero di chi tira avanti ostensibilmente coi denti è sempre più alto e
lui è tutto contento per aver realizzato quaranta chilometri di rotaie.
Pensate: Aniasi, il predecessore “che ne ha realizzato di più”
si è fermato a ventiquattro. Che il vero sogno, magari a occhi aperti,
sia quello di una città, che, aggiungi una stazione di metropolitana qua,
un depuratore là e un parcheggio ogni tanto, trova da sé la sua via, uscendo
spontaneamente dalla crisi in cui l’ha cacciata l’esaurirsi della sua
dimensione industriale, a un pensatore di quel calibro non passa neanche
per l’anticamera dei cervello.
Ah sì. L’altro ieri, naturalmente, era il 12 dicembre.
Una data triste, per noi milanesi, non soltanto per il ricordo di
tutti quei morti, ma perché, almeno per chi ha vissuto quegli eventi, rievoca
ormai, anno dopo anno, l’affievolirsi della capacità di protesta civile
e di lotta democratica della città. È inevitabile, forse: trentaquattro
anni sono tanti per tutti e non sono più i tempi della volontà di resistere
al progetto eversivo che le bombe di piazza Fontana avevano cercato di
innescare. Forse in troppi di noi si annida il sospetto che, anche
se allora siamo riusciti a smontare le accuse agli anarchici e a far passare
la verità storica di una strage inequivocabilmente di stato, il paese in
cui viviamo non sia troppo dissimile da quello che avevano progettato,
allora, gli eversori. Per minare la democrazia non servono sempre
le bombe: basta, talvolta, il controllo dell’informazione. Ovvio,
così, che le manifestazioni di venerdì siano state stanche e ripetitive;
vano è sperare che serva a qualcosa il tardivo processo che si va celebrando
proprio in questi giorni contro un gruppo di fascisti, o presunti tali.
Di processi per piazza Fontana ce ne sono stati tanti e non tutti,
sappiamo, hanno giovato a stabilire la verità.
Tutto questo, comunque,
non sembra giustificare l’atteggiamento di un primo cittadino che si è
limitato, in quella data, a una rapida comparsata in piazza Fontana per
i rituali squilli di tromba, la mattina è intervenuto sui giornali soltanto
per esaltare se stesso e la sera, incredibile ma vero, è comparso in televisione
per scambiare futilità con un conduttore di “Scherzi a parte” (se
non era un sosia, perché giuro che l’ho soltanto intravisto e ho cambiato
subito canale). È un atteggiamento, nonostante tutto, che continua
a sembrarmi disdicevole. Il sogno di un sindaco che si preoccupi,
se non del futuro, almeno un poco del nostro passato, forse potremmo ancora
permettercelo.
14.12.’03