Un genere maledetto

La caccia | Trasmessa il: 02/27/2011


    Ho letto sull' “Espresso” della settimana scorsa (sul numero 7 del 17 febbraio) una notizia che mi ha riempito di angoscia. Niente paura, eh: niente che riguardasse Berlusconi, o la crisi economica, le risse interne nella sinistra o le repressioni in Nord Africa. Le informazioni relative a quegli argomenti (o simili) possono preoccuparmi, deprimermi o farmi incazzare di brutto, ma non parlerei mai di angoscia in senso stretto. Come quella che mi ha colto, invece, alla lettura di un riquadrato di nove righe a pagina 109 (tra le attualità culturali, dunque), da cui si apprende, a proposito della “instancabile Patti Smith”, che “dopo il successo della sua autobiografia, vincitrice del National Book Award, la cantante americana – già autrice di poesie, fotografie e dipinti – ha deciso di passare al giallo.”
    Niente di drammatico, direte voi. Di personaggi per altri versi famosi che, a un certo punto, decidono di passare al giallo, ce n'è una valanga. Quando provengono dal mondo dello spettacolo, poi, la loro popolarità sui media, e soprattutto i frequenti passaggi di televisivi, sono garanzia di straordinari successi di vendita. Guardate un po' cosa è successo qui in Italia con Giorgio Faletti, che è bravo e simpatico, per carità, ma come cantante non è certo al livello di Patti Smith, né come scrittore a quello di un James Ellroy e pure smercia i suoi titoli a milioni di copie. E che a dedicarsi a questo genere letterario un tempo negletto dalla critica seria siano persone già illustratesi nel campo della poesia non è cosa che possa stupire nessuno: tra gli autori inglesi di misteries si annovera persino un tale Nicholas Blake (1904-1972), che con il suo vero nome di Carol Day-Lewis fu poeta laureato alla corte di San Giacomo.
    Potrei anche azzardarmi, dunque, a trasmettere alla sublime interprete di Because the Night tutte le mie benedizioni di giallofilo impenitente. Oltretutto il mondo del rock, per quel che ne so, deve essere al centro di grandi interessi e grandi passioni, né devono mancarvi le pulsioni omicide, con conseguente oppotrunità di scoprire chi se ne sia lasciato sopraffare. Un giallo ambientato in quel giro potrebbe essere parecchio interessante. Nulla, però, nella noticina dell' “Espresso” fa pensare che l'opera in programma intenda esplorare quel che succede dietro le quinte dei grandi concerti: anzi, vi si specifica che la futura autrice sta “lavorando da due anni a una detective story che inizia a Londra nella chiesa di Saint Giles-in-the-field”, un posto che va a visitare ogni volta che ha “l'occasione di passare di là”, ed è difficile che una trama con quel punto di partenza possa condurre al mondo del rock, visto che il quartiere in cui sorge il tempio, pur essendo oggi piuttosto centrale (è nei pressi di Shaftesbury Avenue), conserva una certa fama di “posto maledetto” e un po' misterioso che con la musica ha ben poco a che fare. Capirete: dal 1101 al 1539 vi sorgeva il locale lebbrosario e le condizioni malsane dell'abitato ne fecero il focolaio della grande epidemia di peste del 1665. Come se non bastasse, davanti alla chiesa era uso far sostare i condannati a morte in marcia verso il patibolo di Tyburn, per offrire loro la “St Giles Bowl”, una ciotola di birra drogata concessagli come estremo conforto: il cimitero adiacente, poi, era destinato proprio alla sepoltura di quei disgraziati e si ritiene comunemente che le loro anime aleggino in loco. Insomma tutto lascia sospettare che la nota cantante non abbia nessuna intenzione, in realtà, di scrivere un giallo e che i suoi progetti letterari vertano piuttosto su una qualche vicenda terrificante di stampo gotico, su una specie di versione a forti tinte del Codice Da Vinci, che è, effettivamente, un sottogenere che nel mercato dei bestseller tira parecchio.
    Che la grande Patti con il giallo abbia ben poco a che fare, comunque, si può desumere dall'affermazione per cui “il romanzo, quasi completo, risentirebbe delle letture di Sherlock Holmes e di Spillane”. Due nomi rispettabili, certo, e cari alla storia del giallo, che tuttavia non è così facile mettere in parallelo e non solo perché uno si riferisce a un autore e l'altro a un personaggio. Le opere relative si collocano, come dire, alle due estremità opposte di quella storia, ne rappresentano due interpretazioni abbastanza antitetiche e per farsi ispirare contemporaneamente dalle une e dalle altre ci vorrebbe una capacità di funambolismo letterario veramente insolita. Sono, d'altra parte, due nomi molti noti, proprio quelli che qualcuno tirerebbe fuori se dovesse citare un eroe e un autore del mistery a caso. Com'è successo probabilmente in questa occasione.
    E allora si spiega l'angoscia di un vecchio cultore del giallo come me, che ha visto, con gli anni, il suo genere preferito venire di moda, conquistando di prepotenza il mercato editoriale, ma perdendo per strana buona parte delle sue caratteristiche, pr così dire, razionali per ridursi a una etichetta sotto la quale si può smerciare davvero qualsiasi cosa. Un genere maledetto, da un certo punto di vista, in cui la maledizione consiste proprio nella sua capacità di attrarre, oltre ai neofiti, gli operatori più spregiudicati e di subire per mano loro le contaminazioni più improbabili. E non c'è niente di male, naturalmente, nello scrivere dei paragialli horror, iniziatici e ultramondani, ma il rischio è quello di lasciar progressivamente scivolare nel nulla quel complesso di convenzioni e tematiche all'interno delle quali si muovevano, pur con tutta la possibile libertà, i nostri autori favoriti. I loro prodotti, a volte, riuscivano a offrire una immagine, stilizzata ma affidabile, della società in cui viviamo, un esito cui è difficile attingere sconfinando nel fantastico puro e permettendosi qualsiasi licenza paranormale. Ma c'è poco da fare: se la razionalità, come tutti possono constatare, non è più di moda, non si vede perché debba resistere sulle pagine della narrativa di consumo.
    Mi rendo conto, tuttavia, che queste sono lamentazioni da vecchio barbogio. E magari ingiustificate: chissà, nulla vieta che Patti Smith, mettendo a frutto le opposte influenze di Mike Hammer e di Conan Doyle, ci offra il giallo dei gialli, l'opera che tutti stavamo inconsciamente aspettando. Sarò il primo a ricredermi, facendo in questa e altre sedi una doverosa palinodia. Per adesso resto un po' diffidente, ma non vogliatemene: sono fatto così.
27.02.'11